Erika
Dagnino, Stefano Pastor
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Cycles
is a remarkable work, with literary and psycho-philosphical
groundings and overtones, by a remarkable violinist, Stefano Pastor,
in equal collaboration with poet Erika Dagnino. Pastor
has, of course, a European sensibility—he and Dagnino are, after
all, Italian—but his innovative improvisational conception is
rooted in the development of the jazz tradition; it is not a
eurocentric classical derivation. I
shall not say much about either the music or the words, which, with
attention, will sound and speak for themselves. And attention is in
order—in the order and the chaos. But,
do you know that you are listening to a violin? It sounds uncannily
like a soprano saxophone; on other recordings Pastor has also evoked
the sound of the shakuhachi. But these are no gratuitous imitations
but logically sited explorations of inherently discoverable
qualities. There is a noble tradition of making the violin sound
like another instrument, more than whistles and canaries. In a
Caprice Paganini requires that it become a hunting horn, an
instruction all but ignored by many virtuoso interpreters though not,
for example, by that champion of new music Paul Zukofsky. On a
broadcast transcription, Eddie South turns his violin into a
precursor of the oboe: the ghayta or zurna, the shawm of Algeria.
Stuff Smith makes a trumpet of his phrasing, in fact a whole brass
section talking to a reed section. Seifert, following on from Ponty,
transposes Coltrane. Mat Maneri takes a micro-tonal cue from Joe
Maneri’s alto. And Pastor. All utterly violinistic. The
text of Cycles is prefaced with two quotations from Samuel Beckett.
In fact, they are the work’s starting point. And nothing could be
more appropriate for the to and fro of chaos and order. Here is
Beckett speaking in an interview: “What I am saying does not mean
that there will henceforth be no form in art. It only means that
there will be new form, and that this form will be of such a type
that it admits the chaos and does not try to say that the chaos is
really something else. The form and the chaos remain separate. The
latter is not reduced to the former. That is why the form itself
becomes a preoccupation, because it exists as a problem separate
from the material it accomodates. To find a form that accomodates
the mess, that is the task of the artist now.” Is
that why Dagnino’s writing accompanies Pastor’s music only on
the page? That Pastor’s violin takes the sound stage only with
some drums by Maurizio Borgia and some overdubbed percussion by
Pastor himself? For whatever reason, this is the successful strategy.
No poetry and jazz here, thank the gods. And I ask you. Just how
often has that ever worked? Mingus’s “Freedom”, ok. But the
poets, almost always no. And I say this as the author myself of Poem
About Music, twice performed with exceptional musicians: interesting
but failings. Why? Because, ultimately, there can only be writing round
about
music. For the rest, only music
about music. Yet Dagnino's writing is here too, equally. Anthony
Barnett
Cycles
è un pregevole lavoro, con fondamenti e implicazioni letterari e
psico-filosofici, creato da un pregevole violinista, Stefano Pastor,
in paritaria collaborazione con il poeta Erika Dagnino. Pastor
ha, naturalmente, una sensibilità europea – lui e Dagnino sono,
dopotutto, italiani – ma la sua innovativa concezione
improvvisativa è radicata nello sviluppo della tradizione jazz; non
è di derivazione classica eurocentrica. Non
dirò molto sulla musica o sulle parole che, se ascoltate con
attenzione, suoneranno e parleranno da sole. Attenzione da porsi
all’ordine, ed è nell’ordine e nel caos. Ma
sapete che state ascoltando un violino? Esso suona inusitatamente
come un saxofono soprano; in altre registrazioni Pastor ha anche
evocato il suono dello sciakuaci. Non si tratta di gratuite
imitazioni ma di esplorazioni collocate logicamente di qualità
inerentemente riscontrabili. Esiste una nobile tradizione che assume
la trasfigurazione del suono del violino in qualche altro strumento,
al di là di fischi e cinguettii. In un Capriccio Paganini
prescrive che esso diventi un corno da caccia, una prescrizione
chiara ma ignorata da molti interpreti virtuosi tranne pochi come ad
esempio quel campione di nuova musica che è Paul Zukofsky. Nella
trascrizione di un programma radiofonico, Eddie South tramuta il suo
violino in un precursore dell’oboe: il ghaita o surna, la
cennamella dell’Algeria. Stuff Smith inventa una tromba con il suo
fraseggio, di fatto un’intera sezione di ottoni che parla a una
sezione di ance. Seifert, proseguendo nella direzione indicata da
Ponty, traspone Coltrane. Mat Maneri prende l’avvio dall’alto
microtonale di Joe Maneri. E Pastor. Tutto totalmente violinistico. Il
testo di Cycles è preceduto da due citazioni da Samuel
Beckett. Di fatto esse sono il punto di partenza del lavoro. E
niente potrebbe essere più appropriato per esprimere il continuo
alternarsi di caos e ordine. Qui è Beckett che parla in
un’intervista: “Ciò che sto dicendo non significa che in futuro
non ci sarà più forma nell’arte. Significa soltanto che ci sarà
una nuova forma, e questa forma sarà tale da ammettere il caos
senza provare a dire che il caos è realmente qualcos’altro. La
forma e il caos restano separati. Il secondo non è ridotto alla
prima. Ecco perché la forma stessa diventa una preoccupazione,
perché essa esiste come un problema separato dal materiale che
organizza. Trovare una forma che organizzi la confusione è il
compito dell’artista oggi.” È
questo il motivo per cui lo scritto di Dagnino accompagna la musica
di Pastor soltanto sulla pagina? Per questo il violino di Pastor
traccia lo scenario sonoro avvalendosi soltanto di un breve
intervento della batteria di Maurizio Borgia e di alcune percussioni
sovraincise da Pastor stesso? Qualunque sia la ragione, questa è la
strategia di successo. Non poesia e jazz qui. Grazie a Dio. E io
chiedo a voi : Quante volte avete mai sentito questo? “Freedom”
di Mingus, ok. Ma i poeti quasi mai. E lo dico quale autore di Poem
About Music, due volte letto in pubblico sui suoni di
eccezionali musicisti: interessante ma fallimentare. Perché? Perché,
in ultima analisi, ci possono essere soltanto scritti intorno
e sulla musica. Quanto al resto, musica sulla musica.
Invece lo scritto di Dagnino è là, con la musica, in paritaria
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